L’11 aprile 1991 Libero Grassi è ospite a Samarcanda, la trasmissione condotta da Michele Santoro su Rai Tre, dove cerca di spiegare la sua posizione: «Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore». Dopo l’intervista diventa famoso sul piano nazionale per la sua opposizione alla mafia, ma non tutti sono dalla sua parte; la stessa Sicindustria gli volta le spalle e la decisione di un giudice catanese dell’aprile 1991, in cui si afferma che non è reato pagare la “protezione” ai boss mafiosi, lo fa sentire solo.
In qualche modo la mafia lo costrinse a diventare un eroe, contro il suo volere. Non pagare il pizzo agli occhi dei mafiosi significava delegittimarli. E ancor di più ribadirlo pubblicamente. Per questo viene eliminato. Perché era diventato un “cattivo esempio”. Pochi mesi dopo, il 29 agosto 1991 in via Alfieri, mentre si stava recando verso la sua auto per andare in fabbrica, senza la scorta personale che aveva rifiutato, alle sette e quaranta di mattina, viene ucciso con quattro colpi di pistola.
Una grande folla prende parte al suo funerale, dove interviene il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Qualche mese dopo la morte di Libero Grassi, il Governo emana il decreto-legge n.419, convertito in legge n.172/92, che istituisce il fondo di solidarietà in favore delle vittime di richieste estorsive e di usura.
Nell’ottobre del 1993 viene arrestato Salvatore Madonia, detto Salvino, figlio del boss di Resuttana, e il complice alla guida della macchina Marco Favaloro, che in seguito si pente e contribuisce alla ricostruzione dell’agguato. Madonia è stato condannato in via definitiva, anche al regime 41-bis, e con lui l’intera Cupola di Cosa Nostra (sentenza del 18 aprile 2008).
L’eliminazione di un uomo retto e dai modi garbati rappresentò un punto di svolta nella strategia di Cosa Nostra. Libero Grassi non era né un magistrato, né un poliziotto. Insomma, non era uno che combatteva la mafia per mestiere. Era semplicemente un imprenditore che rivendicava il diritto di non pagare “tasse aggiuntive” rispetto a quelle che già versava all’erario per il semplice fatto di avere un’azienda in Sicilia. Fu ucciso, ma il seme della ribellione era stato piantato.
A Libero Grassi è stato intitolato un istituto tecnico commerciale di Palermo, strade, piazze, aree produttive, associazioni antiracket e il Parco Libero. Lo Stato ha onorato il suo sacrificio con il riconoscimento concesso dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/99 a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo.
La vedova Pina Maisano Grassi, nonostante minacce e intimidazioni, ha proseguito, con ammirevole e straordinaria energia, fino alla sua morte nel 2016, la lotta per la legalità in nome del marito, all’interno delle istituzioni e al fianco della società civile in sostegno delle tante associazioni antiracket sorte dal 1991 in Sicilia e nel resto d’Italia.
In “Libero. L’imprenditore che non si piegò al pizzo”, scritto da Chiara Caprì insieme a Pina Maisano emerge, tra la straordinaria intensità dei rapporti familiari, lo spessore dell’Uomo.
D’altra parte, il giorno stesso della sua morte Libero riceve la medaglia d’oro al valor civile, in quanto come sottolinea la scrittrice “lo Stato Italiano riconosce grandezza nel suo operato, la sua risolutezza nelle scelte e la sua coerenza, che lo hanno però condannato a morte”.
Chi è Libero Grassi
Libero Grassi nasce a Catania il 19 luglio 1924, in una famiglia antifascista, poco più di un mese dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti. Il nome gli viene attribuito in memoria del deputato socialista ucciso dai fascisti per essersi opposto a Benito Mussolini. Cresciuto a Palermo, nel 1942 Libero si trasferisce a Roma, dove studia Scienze Politiche. Rifiutandosi di combattere la Seconda Guerra Mondiale al fianco di fascisti e nazisti, Libero entra in seminario e ne esce dopo la liberazione, tornando nel 1945 a studiare e laurearsi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo poiché il corso di laurea in Scienze Politiche era stato soppresso.
Non potendo perseguire l’aspirazione alla carriera diplomatica, Libero si trasferisce a Gallarate dove, con il fratello Pippo, crea la sua prima azienda nel campo tessile e si inserisce nell’ambiente della borghesia industriale milanese. Tornati a Palermo fondano la MIMA, un’azienda che produce biancheria da donna, che presto arriverà a contare 250 operai. Nel 1958 termina la collaborazione col fratello e nasce la SIGMA, che fino al 29 agosto 1991 produrrà pigiami e vestaglie da uomo.
Negli anni ‘60, con la moglie Pina, coltiva attivamente il suo interesse per la politica, entrando nel Partito Radicale. In seguito allo scioglimento del partito Libero entra nel Partito Repubblicano. Collabora anche con diverse testate, tra cui Il Mondo.
All’inizio degli anni ‘80 viene preso di mira da Cosa Nostra con la pretesa di pagamento del pizzo, che la criminalità organizzata estorce a moltissimi commercianti siciliani. Libero Grassi ha il coraggio di opporsi alle richieste di racket della mafia e di denunciarlo pubblicamente, con grande esposizione mediatica; al punto che, nel gennaio 1991 il Giornale di Sicilia pubblica la Lettera al Caro Estortore in cui esprime il suo rifiuto di cedere ai ricatti della mafia:
«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.»